accordini igino

Ve lo ricordate Igino da Pechino?
Ma sì, dai! Quello scrupoloso imbottigliatore con base nel veronese, talmente preoccupato che le meravigliose etichette di velluto per il suo Amarone potessero subire i danni dell’umidità di cantina, da etichettare le stesse come rosso veronese IGT, salvo poi, quelle stesse etichette, essere coperte con una più grande che recava la dicitura “Amarone della Valpolicella doc riserva 2007”.
Ne abbiamo parlato diffusamente su queste pagine, dopo che la notizia in Italia era arrivata dalla pagina Facebook “you said wine?”.
Come noi, anche il Consorzio di Tutela della Valpolicella aveva letto quella pagina e il suo direttore, Olga Bussinello, commentò: “il Consorzio ha informato gli organi competenti“.

Qualcosa è successo da allora, visto che si è aperta una inchiesta per frode in commercio ex articolo 515 del Codice Penale (ma ci sono pure indagini per vendita di prodotti contraffatti ex art. 517 e concorso nei reati ora menzionati) nei confronti dei titolari della Igino Accordini S.S.

In conseguenza dell’indagine, il pubblico ministero ha disposto il sequestro a titolo preventivo, e con finalità probatoria, di tutte le bottiglie cedute in Italia dall’azienda, dalla data del decreto indietro fino all’inizio del 2017. Ben 124 destinatari, tra cui ovviamente ristoranti ed enoteche, si sono viste notificare il decreto e, se non leggono regolarmente Intravino, hanno scoperto di essere stati oggetto di quella che si indaga per verificare se sia stata o meno una frode.

Il decreto del giudice delle indagini preliminari, che conferma il decreto del pubblico ministero, ripercorre i fatti salienti della parabola di questa azienda. Fatture in entrata di vino rosso generico e fatture in uscita di vino rosso generico, tuttavia con un curioso elemento anomalo: il ricarico medio praticato è stato del 900%.
Fin qui, si potrebbe anche ipotizzare che Guido Accordini e i suoi soci non siano altro che ottimi rivenditori. Tuttavia, sia le etichette dei prodotti effettivamente smerciati, che non corrispondono a vino rosso generico, sia il fatto che una fattura accompagni verso la Cina 8200 etichette e 1000 capsule, hanno indotto I magistrati a ritenere l’intera vicenda degna di un accurato approfondimento. Quanto accurato? Abbastanza, visto che sono state sequestrate bottiglie per un controvalore, riteniamo di fattura, superiore a 420.000€.

Da tutto ciò che precede, ricaviamo due elementi.
In primo luogo, la soddisfazione per una magistratura che è intervenuta con decisione allo scopo di verificare e accordini igino tutelare i consumatori e alcune delle più rilevanti denominazioni d’origine di questo Paese. La tempestività dell’azione penale e del sequestro, realizzato materialmente dagli uffici dell’ispettorato ICQRF, ci fanno dire che — vivaddio! — non c’è un giudice solo a Berlino e può contare su una macchina dello Stato capace di risultati ed efficienza.
In secondo luogo, torniamo su un tema a noi piuttosto caro. Infatti, senza quelle foto e quello sguaiato video a suo tempo postati da “you said wine?”, chi si sarebbe accorto dell’attività di questa azienda e chi avrebbe potuto renderlo noto all’autorità giudiziaria, come ha fatto il Consorzio, e al pubblico come ha fatto Intravino?

Davvero, non vale la pena di farsi alcuna domanda riguardo al sistema dei controlli ordinari e alla sua efficacia a valle di una vicenda come questa?

Davvero avendo in cantina pressoché solo vino rosso generico (mai prodotto: sempre e solo acquistato) ad una ispezione accurata e ad un esame dei registri e delle fatture da parte dell’ente di controllo della DOCG, le circostanze oggi sottolineate nei decreti dei magistrati sarebbero rimaste sconosciute e soprattutto non rilevabili?
Chi ci conosce sa perfettamente che non indugiamo mai nell’accondiscendenza verso generiche richieste di diminuire i controlli o le regole a tutela dei consumatori.
In particolare, chi scrive si sforza di far comprendere quotidianamente a studenti e produttori che le norme hanno un significato e rispettarle è il fondamento del vivere civile, della libera concorrenza e, in definitiva, della crescita sostenibile.

Tuttavia, le regole senza un meccanismo che le renda cogenti, funzionano solo per gli onesti che peraltro lo sarebbero anche senza regole. Ecco allora che per quella sparuta minoranza di disonesti “fisiologici”, il sistema dei controlli deve essere affilato ed efficace come un bisturi, per separare il sano dal malsano, l’onesto dal disonesto che ne può sporcare l’immagine.

Alla luce di questi documenti, che peraltro sono stati notificati a decine di aziende venete, quasi non ci si capacita di parlarne per primi, mentre la stampa regionale e veronese, in particolare, sembrano colpite da un assordante afonia

Sarebbe anche opportuno che nelle sedi di Siquria, che peraltro sono in stretto contatto con il consorzio di tutela del Valpolicella, qualcuno si chieda se e come vadano potenziate le attività di controllo.
Magari, per essere sicuri di dedicare uguale puntiglio alle parole che fanno riferimento al Ripasso e al contenuto delle vasche. Magari per essere sicuri che, facendo girare della carta, il vino rosso non diventi Amarone DOCG.

In vista del Vinitaly che va ad iniziare a giorni, sarebbe davvero questa una novità degna della massima attenzione, mediatica e non.

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